27/08/06 14 commenti

L'uomo albero

- sanguigna su carta crema -
disegno di Mariposas: “L’uomo albero”


Dalle mie ferie trascorse in montagna conservo solamente nostalgie, paure e tutte le mie verità. Talvolta, solo chi intersecandosi con l’ironia della casualità e dalla ricerca del proprio mondo interiore, potrà rispecchiarsi in questo racconto; a mio parere leale come la fantasia, falso quanto la nostra coscienza...
E’ noto, per quanto instabile sia la mia ragione, che il 2 novembre è il dì dei defunti. Ogni spirito sorseggia, evadendo dalle proprie residenze, un nuovo giorno di vita sulla terra: questa è l’ultima verità che mi concedo.

Quel giorno uscii di casa all’alba, lasciando mia moglie e mio figlio fra le braccia delle lenzuola. Quella notte, come accadeva da svariati giorni, avevo dormito poco e male. Ogni volta ero il protagonista dello stesso incubo: una voce fatta di luce che mi rimproverava; di questo avevo realmente timore.
Io ho sempre incoraggiato la gente a credere nelle proprie capacità; e per questo sono sempre stato amato. So leggere nei loro occhi, intuendone bellezza e terrore. Talvolta, quando rivedo la mia immagine allo specchio, ho l’ambizione di voler baciare la mia fronte, ma invano; bacio sempre le mie labbra: è il desiderio dell’improponibile che mi rende inumano...
Camminavo per il bosco cercando una spiegazione razionale per i miei incubi, solo, con il sole che man mano arroventava la mia pelle e il vento che folleggiava le sue liriche tra le foglie degli alberi...di colpo mi sentii parte della montagna. Respirai avidamente tutta l’aria che potei respirare: ero rinato.
Non conservai più nessun’asprezza per il mio incubo; avevo la sensazione d’essere un uomo albero che viveva nella propria beltà. Gioivo nel mostrare i miei rami, robusti, fieri, gentili. Giocavo con la fantasia, lasciavo dondolarmi dal vento e sorridendo alla vista di due scoiattoli che si rincorrevano: “Che bella coppia!” pensai. Diedi ospitalità a degli uccelli di passaggio, quasi in mio onore, sembrarono comporre una lirica; ero a digiuno da quella sensazione che rendeva un uomo vivo: “La vita è sempre con noi. Vive, respira, gioisce solamente se noi ne sentiamo il possesso!”questi pensieri continuavano a rinsavirmi; ero ancora una volta padrone di me e dei miei sogni.
Io sono un commerciante, ma ho sempre sognato altro. E’ un lavoro comodo che mi ha ricompensato con una casa, con una famiglia felice, con una vita agiata: ma io ho sempre desiderato altro per me; è il prezzo delle scelte...
Proseguii per ancora qualche metro; quando, alle mie spalle una voce mi cinse di blocco.
- “Tu sei felice?” mi disse.
Tremai; non avevo il coraggio di voltarmi, quando mi ripeté:
- “Tu sei felice?”
- “Si.” gli risposi.
- “Sei falso anche con te stesso. Sai cos’è la felicità?”
- “Certo; io sono felice!”
Mi voltai. Di colpo fui abbagliato dalla luce accecante del mio incubo. Fui colto da un inspiegabile senso di paura e dalla mia incapacità dinnanzi alla situazione presentatami. La luce svanì, come il cinguettio degli uccelli attorno a me.
- “Chi è lei? Perchè si nasconde dietro quell’albero?” gridai, mettendo in risalto la mia fobia.
- “Ah, ah...” sorrise. “Io sono l’albero!” esclamò.
- “Un albero che parla! Sciocchezze!”
- “Tu non sei felice...”
- “L’ho sono!”
- “sai chi sei realmente?”
- “Io mi chiamo Paolo Aiello...!”
- “Ah, ah... tutti ricordiamo il nostro nome, ma sappiamo chi siamo realmente? Io mi chiamo Albero.”
Mi sentivo sempre più stupido. Avevo cercato per vari giorni una spiegazione plausibile per il mio incubo, ed ora che si presentavano delle risposte, avevo paura: chi non l’avrebbe avuta al mio posto!
Cominciai a girargli intorno con piccoli passi: non c’era nessun uomo.
- “Soddisfatto.” esclamò l’albero.
- “Di cosa?” risposi.
- “Non c’è nessun uomo dietro di me! Guarda in alto!”
Guardai, e proprio alla fine del tronco, vidi qualcosa che assomigliava ad un volto: sì, era proprio un volto! Aveva un grosso naso, una bocca e due grossi occhi di legno: mi venne in mente la favola di Pinocchio; il solo pensiero mi fece sentire meglio.
- “Cosa sai della felicità?” chiesi all’albero.
- “Amico mio, un tempo anch’io ero un uomo! Ho vissuto lavorando, e lavorando sono morto. Ho cresciuto i miei figli, ho costruito case, ma non ho mai sentito i miei figli chiamarmi papà. Ero sempre fuori; non voglio che tu faccia il mio stesso errore. La famiglia è la cosa più importante della vita, e tu la stai trascurando!” rispose l’albero.
Ebbi la sensazione che parlava di mio padre. Io non l’ho mai conosciuto realmente, era sempre fuori per lavoro, e per esso è morto. Avevo sette anni quando morì, e di lui conservo ricordi sparsi, quelli che mi raccontava mia madre.
- “E’ vero...io non sono felice!” dissi
- “ Vedi!” mi rispose l’albero.
- “Io sono un commerciante e passo parte della mia vita fuori. Non ricordo neanche quale sia stata la prima parola pronunciata da mia figlia. Sto facendo il tuo stesso errore albero; come anche mio padre...
- “Tuo padre è stato un grande uomo; tu sei come lui!”
Iniziai a piangere. Quell’albero riuscì a leggermi dentro, a consigliarmi: sapeva chi ero dentro.
- “Devi imparare ad essere felice.” mormorò l’albero.
- “Come? Io amo il mio lavoro; amo la mia famiglia!” gli dissi.
- “Solo in punto di morte potrai comprendere...! Io l’ho so!”
Restavo sempre più sbalordito. Parlammo per diverse ore. Gli raccontai anche una delle mie fiabe scritte per mia figlia. L’uomo albero sorrise al solo gesto.
- “Per un attimo ho avuto la sensazione di ritornare bambino.” mi disse l’albero.
- “Questa favola l’ho scritta per Barbara...”risposi
Al solo pronunciare di quel nome, l’albero cominciò a piangere.
- “Barbara...Barbara...Barbara...!” ripeté più volte
- “Tu come ti chiami?” dissi.
- “Albero, Paolì! Ora sai cosa fare nella tua vita! Ah...Ah...!” sorrise.
Di colpo l’albero s’ammutolì e tutto mi sembrò un sogno. Quell’albero aveva smesso d’essere un uomo: ritornò freddo, senza vita.
- “Sì, io sono Paolì...papà!”
Dissi mentre una lacrima cercava di cascare sul terreno, impedita dalla mia folta barba...

Ritornai dalla mia famiglia, felice come non mai. Barbara mi guardò con occhi differenti, felici. La presi in braccio improvvisando una danza; le mie gambe si piegarono per la stanchezza dei chilometri fatti, e cademmo per terra. Ero felice.
Il giorno successivo, risvegliandomi, raccontai a mia moglie che avevo sognato di pubblicare il mio libro di fiabe: lei mi sorrise con lo sguardo. L’incubo che mi aveva tormentato per giorni era svanito, e io mi sentivo un uomo nuovo.
Ritornai nel bosco per ringraziare l’uomo albero, ma lui non c’era più.

Ancora oggi, trascorsi svariati anni da quell’esperienza, non ho sagge risposte. Ho cambiato lavoro, e il mio libro di fiabe e tra i più apprezzati dai critici letterari.
Dimenticavo; il mio libro di fiabe è intitolato: “ L’uomo albero!”
 
;