13/05/06 2 commenti

Risposta emotiva per l’incoscienza di un giovane scrittore.


Caro Francesco, solo oggi, e dopo lunghi mesi di svariati impegni, cercherò di rispondere alle Tue domande.
Mi chiedi cosa significa essere un vero scrittore?
Ancora oggi, nonostante i miei settantacinque anni questa parola mi è ignota.
Mi chiedi di valorizzare i tuoi pensieri, non so se è la cosa giusta!
Le tue parole colmano di sentimenti il silenzio di un foglio bianco...
E' difficile impreziosire dei fogli bianchi con la sicurezza che esprimi; io non ne sarei capace.
Posso solo persuaderti molestando il tuo capriccio, perché è solo questo!
Scrittore, forse, è una parola ambigua sconfinata in un animo nobile di gentilezze e d’emozioni distanti dalla tua realtà. Non sprecare la tua vita! Le parole hanno una musicalità incosciente, e nutrendoti in loro riusciresti, con tutto il tuo ingegno, a vivere solo una falsa esistenza.
Non scrivere mai “AMO LA VITA” se non sei veramente convinto, perché riusciresti a sporcare d’infamia una parte di te… Riusciresti a scrivere mille volte “AMO LA VITA” solo per rendere matura la Tua convinzione? Riusciresti a descrivere l’eterna passionalità di un uomo dinnanzi ad un tramonto? Dinnanzi al mare? Ne saresti capace?
Scrivere per me significa sfidare il lato più sensibile dell’esistenzialità! Talvolta per sentirsi più umili! Talvolta per sentirsi appagati! ...come se si sfiorassero con gran passione dei seni bollenti, protetti da lenzuola gelide, privandosi così dell’istinto e della propria razionalità...
Soffro la solitudine solo per il piacere di abbagliarla, non c’è altro modo; lei è una gran consigliera, una donna cui donare il proprio affetto. Vuoi diventare come me?
Vuoi e puoi vivere in vita un sogno talmente disinteressato, da annullare gli anni restanti?
Provaci! Che la tua destinazione sia coerente o no, dimmi potrai essere un vero scrittore!
Saprai affrontare gli abissi del silenzio, tale da mostrarti indifferente alle espressioni congenite della vita?
Dammi solo giudizi, perché io conosco le mie realtà, appoggiate tra un’ondeggiante immaginazione che la vita pur reale che sia si nasconde dinnanzi a me. Veramente ami scrivere, Francesco?
Dai un solo giudizio alla sconfinatezza delle emozioni! Da voce al vento...! Dagli occhi, naso e orecchie; mostra di quanto silenzio può arricchirsi la tua mente!
Non ci sono destinazioni concrete senza la scioglievolezza di un libero arbitrio, di un’invisibile decisione d’essere qualcosa, o qualcuno se ti credi tale!
Sappi amare la vita nelle sue molestie, ti darà un senso; perché tu vivi!
In un randagio collimarti in una nebbia, saggia solo la delusione di non saperti nascondere, non sei un numero, ma solo una persona dorata di semplicità, accolta in ali furibonde perché ne vivi il vero possesso di tanto in tanto. Ama solo per il piacere dell’eternità di un uomo che sa cosa vuole realmente dalla vita!
Sì labile e sfiora così la leggiadria del tuo entusiasmo per creare cose nuove e vissute, perché di tali nozioni, il mondo comunemente n’assapora le privazioni.
Da sempre un nome a te stesso, un nuovo ogni giorno! Ammirati allo specchio e credi con certezza che se un'altra anima s’intrufolasse nella tua sapresti respingerla?
Crea, illuditi, mostra ingegno, perché in questi tempi la vita non ha più moralità, e con l’eccesso di vanità si può creare tutto, tranne chi si è realmente.
Da volti, voci, sentimenti alla tua creatività, e se ne sarà da meno non picchiarla perché avvolte il perdono è la migliore delle scorciatoie, che se non inibita dal silenzio può realizzare tutto, se solo credi nell'assoluzione di te stesso dinnanzi allo sconcio della realtà. Vivi, e tutto ciò sarà vissuto per te come un’irregolarità di sensazioni sterili, dinnanzi a ciò che ami.
Se realmente saprai abbandonare te stesso, sappi, l’ignoto, nell’irrealtà si renderà visibile nei suoi aspetti!
Dalle una maschera è si farà vivo! Bacia l’arte, meglio le parole, perché di tale innocuità si riempirà il tuo animo tanto da non poterlo mai più escludere, perché t’appartiene; solo questo! La tua parte d’innocenza non sarà sazia fino a quando l’innato sapersi vivi non si priverà di tutta l’irregolarità della vita, quando le vere muse, nascoste dall’imbarazzo, si nascondono con spasimi da adolescente, prive delle sue beltà.
Ama ciò che sei, ho ciò che vuoi essere!
Non nasconderti al mondo, ma mostrati sensibile e indifferente come non vorresti essere!
Tutto Si mostra irreale e illogico dinnanzi al porpore delle labbra, che nascoste, languono insoddisfatte nel nascondiglio più remoto dell’anima. Amati e tu sarai amato! Il futuro è incerto!
Chi lo sa, potresti essere un nomade o un eccentrico abuso anche per la tua sola presenza.
Mi chiederesti ancora il perché della sofferenza, quando nel silenzio inadeguato di un perdono, si vive un chiasso concreto come le parole! Pensa solo a te stesso, nascosto in un angolo buio per un’intera settimana, mentre ti nascondi da te stesso, ed esprimi nel silenzio chi vorresti essere!
Non ci sono più paragoni; e riusciresti, dalla concretezza di un foglio bianco, a nascondere chi sei realmente! Dammi un tuo volto solidale, perché ti parlerò di tutto ciò che ti appartiene, forse, tra un anno farò una pausa, ma se capirai chi nella realtà aspiri ad essere, sarà un evento.
Non per me! Io ne sono indifferente, ma per te indiscusso e illuso di prestazioni e decaloghi di una sapienza orripilanti. Alza un foglio di carta e saprai che al di fuori non c’è silenzio, ma un ventre di donna, che intenso nelle sue passioni sa anche nascondere ciò che ama!
Perché continui con la tua ostinazione? Ti ho mostrato la mia follia!
Alla mia età tutto è semplice; persino la morte ora m’incoraggia nelle mie pazzie!
Comprendo solo quello che è stato il passato; ma il futuro è un’anima ignobile, avara nel comprendere che la mia vita non sarà stata vuota!
Questo è uno scrittore! Sono un’anima persa in una furfante coscienza, che crede ancora in qualcosa; in un’avarizia di dettagli che non servono più a niente! Vivo nell’illusione di una vita che non ha ancora conquistato una lodevole motivazione, e non la avrà mai. Dammi un foglio e lo riempirò di sapere; di un sapere illuso, meglio, di un rancore presentato dall’indifferenza di un attimo nascosto, ora lo comprendo, perché l’ascolto! Perdonami, per me tutta la vita è un eterno sfogo che ha bisogno solo di un sogno immortale, e di una persona profondamente morbosa, assente della propria essenzialità che ti ascolta, e che non appoggi false giustificazioni a delle scelte per cui si è pronti a morire.
Oggi non ho rammarichi, ma solo indugi d’alabastro su cui poggiare e distruggere la mia esistenza.
Oggi piango lacrime di solitudine! Perché ridere di una vita, vissuta per caso; tramandatami da qualcun altro!
L’inaspettato ha remore solo per me, per la mia pazzia. Tutto non ha più parole, ma solo stratagemmi per impossessarsi di me con delle innate esigenze da mostrare, appetibili nei suoi attimi di distrazione; ne ho bisogno come una donna, raggiunta la piena maturità, partorisce in se l’essenza esteriore di un motivo essenziale per l’esistenza. Forse tutto questo forse non ha significato, ma vivere una vita insignificante non perdona, per quanto ci si illuda! Francesco, penso questo; voglio che sia tu a scegliere per te, io non ho coscienza, aspiro al perdono; un perdono pieno d’attimi da fanciullo che crede in ogni sua realtà.
Ora devo abbandonarti, di tutta la mia ignoranza sappi solo che ne ho piena concretezza, perché il perdono non ha veri significati, se non nascosta dall’apparenza di un’esistenza maledetta e malandata allo stesso tempo. Chiudo affermando che le parole hanno un reale significato solo per se stessi, e se altri la comprenderanno, capirai che hai realmente raggiunto quello che ti aspettavi. Arrivederci, sognatore di parole; ho voluto solo mostrarti quanto di più irreale può concepire una mente in piena attività emotiva.
Deludimi sopra ogni cosa, ma se il tuo animo è così leale e sincero, illuminami di sensazioni così intriganti che d’ora in poi, anche un vecchio come me è restio a provare.
Dammi un confuso motivo ed io ti crederò, immortale, nelle mie manchevolezze di bambino che ha sempre creduto nella necessità d’espressione, svanita in una turbolenta esigenza, in cui le parole, non solo mostravano, ma vegliano in un senno vagabondo che è l’irrealtà dell’incoscienza stessa di fronte alla vita, i cui pensieri, predominano nell’assenza di un se stesso anonimo solo per gli estranei.
Ora chiudo; non so più cosa dire! Ho vissuto, per un attimo nell’esigenza di sentirmi importante, egoisticamente, solo per me stesso.
Addio Francesco! Ti saluta un uomo che ha visto, nelle parole, un gran sogno chiamato “scrittore!”.

* R.I. *



09/05/06 0 commenti

In spiaggia

Che cosa c’è di reale nella vita, che nella morte chiamiamo irreale!
Ho avuto un incubo: ho sognato un bambino morto che aveva ancora il coraggio di sognare.

Al solo pensiero ho i brividi sulla pelle.
Ricordo che aveva gli occhi spalancati e caldi, di quel caldo, che solo a guardarli mi facevano sentire bene.
Scesa la notte, come per incanto,
aprì il coperchio della sua bara, e sorridendo mi disse:
“tu devi sognare!
Devi avere il coraggio di farlo!
Che ti costa...! Tu sei vivo, a chi devi dare spiegazioni!”

Allora pensai tra me: “questa è la morte!
Chissà cosa pensavo…!
Se proprio devo sognare, lo farò!”

Stranamente - quello che ricordo - il ragazzo si avvicinò a me, mi prese per mano e mi disse:
“svegliati! Perché non giochiamo insieme!”

Mi svegliai di colpo,
il bambino non c’era più,
ma al suo posto c’era un cagnolino che mi leccava le dita.

Da allora ho ripreso a sognare…
Della morte…, e chi ci pensa…! C’è ancora tempo!

* R.I. *


08/05/06 1 commenti

La felicità si guarda dagli occhi!

Uscii di casa solo quando ebbi la certezza che il temporale fosse realmente terminato. Le tenebre si sostituirono alla luce, e per quanto fosse profumato l’asfalto, l’ultima sensazione che provai fu proprio quella della pulizia.
Solo Dio sa quanto ami l’odore dell’asfalto dopo la pioggia…!
Ma quel giorno era diverso; nella testa mi gironzolavano strane domande: stanchezza pensai!
Giusto il tempo di ambientarmi al silenzio che mi circondava, m’accorsi che ero già vicino ad una piazzetta.

C’era una coppia che si baciava, gruppi di gente che ridevano a gran voce, bambini che giocavano a palla. Li guardai e dissi tra me: “questa è la felicità!”
Un uomo e una donna che si baciano, bambini che giocano senza pensare al domani, gente che ride. Questa è la felicità!

Ripresi a camminare, quando da un balcone cadde un foglio; lo raccolsi e lo misi dentro la buca della posta... m’assalì una domanda:
“come può, una persona lanciare da un balcone una cosa intima, rendendola pubblica?”
Cosa dovevo pensare!
“Forse gli sarà cascata dalle mani!” pensai.
Sentii qualcuno piangere; era una donna. Altro che felicità…!

Mi allontanai con la ferma decisione che tutto ciò non mi apparteneva. Ripresi i miei passi ancora una volta, quando ad un incrocio, vidi un quadretto della Madonna.

Tre fiammelle si muovevano a ritmo fremente, pensai subito a quella donna che piangeva; che tenerezza m’aveva fatto! Quegl’occhi non potevano piangere, erano pieni d’amore!
Guardai il volto della Madonna, e quasi incredulo il mio cuore riprese a battere.
Anche prima lo faceva; in quel momento era diverso, avevo in corpo una nuova emozione.
Vidi il mio volto sul vetro davanti alla sua immagine, e i miei occhi erano tristi.
“La felicità si guarda dagli occhi…!
Non dalle bocche che ridono, dai bambini che giocano a palla, da una coppia che si bacia...!”pensai.
Tutta la gente che avevo incontrato prima, non era felice; neanche i bambini lo erano.

Forse fu l’inganno di quel quadro…!
Non credo che la Madonna m’abbia voluto regalare quei pensieri…!
Sentii ancora una volta, una coppia che rideva; mi girai per guardare i loro occhi…
È vero! La felicità si guarda dagli occhi!
Quella donna che piangeva…! Quel foglio …!

In seguito seppi, che quel foglio bagnato dalle lacrime era scritto da suo marito, fino allora creduto morto in un agguato.
Era un militare.

* R.I. *


07/05/06 2 commenti

Nella mente di "Vincent van Gogh"


Questo racconto, che ripercorre alcuni periodi della vita di Van Gogh è totalmente inventato, fuorché le date, la testata del giornale, i nomi dei personaggi e dei suoi dipinti.

"La notte stellata" Saint-Rémy, giugno 1889

"Il seminatore ( secondo Millet)" Arles, giugno 1888




23° ANNÉE N°5 CINQ CENTESIMES LE NUMÉRO 31 JANVIER 1891 __________________________________________

LE
FORUM RÉPUBLICAIN

JOURNAL DE L'ARRONDISSEMENT D'ARLES
Paraissaint tous les Dimanches

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Alcuni giorni fa, il 25 gennaio 1891, un altro lutto ha colpito la famiglia Van Gogh.
Theodorus, fratello minore del pittore Vincent Van Gogh, è morto a Utrecht, lasciando in lacrime sua moglie Johanna Bogner e suo figlio Vincent.
Theo è stato un grande amico anche per me.
Non so se questo mio articolo possa, tra le tante sventure, consolare il mio dolore e adorare un uomo che ha creduto nell’arte, e che per l’arte ha dimorato in un piacere ossessivo: quello di suo fratello.
Vincent ha impreziosito il suo tempo oziando ed impreziosendo le immagini, con un anima propria, con un esplosione di colori che nascondeva tutto, tranne la verità.

Non capisco come la morte, ogni volta, ci lasci così impotenti!
Si può giustificare un gio
rno diverso da un altro? Siamo figli di qualcosa?
Spesso mi domando come la morte si presenti a noi così insensibile, inosservata.
Vi assicuro che la morte esiste e si presenta sempre in modo inaspettato!
Questo è un giorno di lutto. Per ricordarlo ho voglia, con il consenso dei cittadini di Arles, di pubblicare un racconto scritto da Joseph Roulin, impiegato delle poste, oggi trasferitosi a Marsiglia. L'ho ricevuto oggi stesso, e con affetto lo propongo a voi.
Questo racconto ripercorre alcune ore del sig. Roulin trascorse in compagnia di Vincent Van Gogh, quando in piena creatività emotiva, dipinse “ Il seminatore” nel giugno 1888, e quando Joseph andò a trovarlo nella sua casetta gialla, mostrando
gli la “Notte stellata”, dipinta nel giugno 1889.

Perché la morte si propone così istintivamente, lasciandoci impietositi e vagabondi nelle nostre idee sporche come il catrame? Perché la morte?
Quale senso ha abbinare la propria esistenza a qualcosa di grande per poi lasciarcela rubare da un attimo senza senso? Perché?

R.I.

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Marsiglia 25 Gennaio 1891
In ricordo del mio caro amico Vincent Van Gogh.
Joseph Roulin


“Non capisco come il buon Dio abbia dato forza a quella mano, privandoci di quel talento ignoto.
Quella mano che esibiva come egli vedeva e voleva vedere il mondo! Quella mano, dotata di una tale violenza nel confondere l’animo della gente, che, straziandola, nutriva il loro scetticismo con spasimanti emozioni!
Quella mano animata che ci ha donato un'altra delle sue opere: l’immortalità di un uomo che è riuscito a diventare, nonostante la sua rabbia, la visione di se stesso.
Semplice, intelligente, onesto, malinconico e folle con il suo istinto creativo che gli mormorava la necessità di essere compreso, dimostrando tutto ciò che lo rendeva felice, accomodando le sue ragioni in un’estrema galanteria, resa invisibile dalle sue turbolenze.
Una mano, una pistola, un colpo e due giorni d’agonia.
Può terminare così la vita di un uomo, che dinanzi a Dio, ha maneggiato tutte le astuzie che erano in proprio possesso?
Come possiamo, noi lugubri pezzi di carne, saziare la Vostra ira?
Esiste la remota opinione, che io, umile postino viva più a lungo di quanto ho vissuto? Sì, vero!
Ho consegnato lettere per tutta la vita senza mai sbagliarne recapito: che cosa lascerò io al mondo?
Certo, il ricordo di avere abbandonato all’ingiustizia di una sorte infame, l’appello di riconoscenza che chiedeva un Vostro servo! Il mio grande amico!
Non mi appello alla sua arte, ma Vincent, trasformando i colori in una gloria celestiale, ha fatto della vita altrui un emozionante visione da guardare, rendendo degna devozione a Voi, vivace nell’assenteismo...!
Dio, scusate le mie frasi, sto peccando ingiustamente con parole odiose e piene di dolore…! Scusate ancora!
Forse è giusto così, e il mio pensiero è solo un anonimo spauracchio che mi rimbalza contro.
Vincent ha sofferto infinitamente e delle sue pene ne conosco la ragione!
È giusto così, lui non avrebbe sopportato mai il peso della mia attuale età accomodata nel suo corpo! Scusatemi ancora!”


Questo mi passò di mente quando seppi della sua morte. Sentii queste parole talmente vive in me, tanto che riesco a ripeterne il loro peso solo adesso. Alla mia età tutto può sembrare facile, forse mi sarà concessa ancora qualche ora, forse no.
Scrivo questa storia affinché tutti sappiano come ho vissuto la sua vita da amico; soprattutto oggi che la gente è amareggiata della morte di suo fratello Theo.
Vincent, lo ricordo mentre mangiava le zuppe preparate da mia moglie, quando ritrasse mio figlio Armand e quando s'impossessò della dolcezza di mia figlia Marcelle, adagiandola tra le braccia della madre in un altro dipinto.
Mia moglie è ancora scossa, le donne sono molto sensibili, e in questi momenti dimostrano a pieno se stesse.
È madre e figlia anche lei, come potrebbe non soffrirne?
Talvolta piange e io non ho parole per confortarla, mi sento un miserabile; ma soffro anch’io.
Tuttora di mio ho solo il pensiero, ma, quando mi lascio andare dal dondolio della mia sedia ricordo le sue parole e il fascino del suo sguardo quando parlava dei suoi colori.
Lo conobbi in un bistrot, quasi per caso; cominciammo a parlare e diventammo subito amici. Non era un caso, forse qualcuno lassù ha un'accentuata ironia nel fare incontrare la gente. Lo lasciai cercando di capire quello sguardo così solitario.
Ritornai in quel bistrot i giorni successivi senza mai rincontrarlo.
"É un pazzo Van Gogh," mi ripeteva continuamente il proprietario del locale.
"Non capisco perchè questa gente crede che l'arte sia così importante! Si dovrebbe lavorare, non impazzire con quei pennelli!" continuava poi.
Io sapevo sempre dove trovarlo; ogni volta in un campo diverso, ogni volta una nuova lettera da consegnare.
Un giorno, non appena terminato il mio turno, mi fermai a guardarlo con più interesse. Era davanti al suo cavalletto e disegnava qualcosa. Non sapevo cosa significasse essere un pittore, ma lui lo faceva con passione, ed io non potevo fare altro che ammirarlo. Mi avvicinai e gli dissi: " Il Signor Van Gogh, vero?”
Vincent non mi sentì, era così preso dal suo lavoro che neanche il vento lo avrebbe disturbato; anche perchè vinto dall’ebbrezza: così giustificava il suo spirito quando era ghermito dagli zuccheri della ‘fata verde’.
"Adesso fa anche il pittore lei!" gli dissi per stuzzicarlo. Allora mi guardò e capì subito che scherzavo: era l'unico modo per avere la sua attenzione. Era il giugno del 1888, ad Arles, mentre dipingeva uno dei suoi famosi quadri: ‘Il seminatore’.
Aveva tutto il volto macchiato di giallo.
"Mi sono lasciato per ultimo questa lettera indirizzata a te. Volevo in qualche modo disturbarti!" gli dissi.
L'aprì, la lesse avidamente e mi sorrise.
"Joseph, mi consegni sempre delle buone notizie! Mi scrive mio fratello Theo; noi siamo figli opposti della stessa medaglia ma dal medesimo valore!" disse Vincent paragonando Theo alla sua stessa arte e al lavoro che svolgeva per lui...
“A volte le nostre strade si dividono, ma è solo colpa mia. Sono testardo, e ancora di più credo nella mia arte che ogni istante mi allontana, senza alcun diritto, dai miei affetti e da lui che da sempre confida in me.
Mi manda del denaro, privandosene, perché sa che la mia emotività è più celere e che non sono in grado di provvedere a me stesso. Alla mia età…! É buffo, no?”
“Nella mia vita potevo essere un buon padre, un estimatore d’arte e marito integerrimo; ma il senso ingiustificato della mia giovinezza n’è stato da meno. Ursula…! Quando ripenso al passato, risento il profumo della sua pelle, lo sento adesso che parlo con te Joseph; lo sento ogni volta che penso alla mia vita e al desiderio di barattare questa mia arte con una vita più genuina…!”
Vincent all’improvviso s’azzittì e il suo sguardo divenne vuoto, abbandonato ai suoi ricordi. Tutto intorno a me sembrò appesantirsi, come anche la lettera di Theo che era in mano di Vincent. Scivolò dalle sue mani facendo un grande boato, come se di colpo fosse cascato un intero edificio: questa è la sensazione che provai.
Non compresi mai quell’attimo; i giochi della mente sono inconsapevoli e lui lo era ancor più.
Si piegò, raccolse la lettera e come niente fosse riprese a parlarmi con voce rasserenata.
“La vidi e mi addormentai nei suoi occhi, dolce, sensibile, folle brama dei miei sogni. Il suo rifiuto è risultato, come per la morte della coscienza, la follia del mio futuro; questa è l’espiazione dei miei giorni, la scelta consistente per il mio lavoro.
Questo dolore ha permesso alla mia vita di ammalarmi, e di rendere incapace il mio spirito ad amare con quel desiderio, che le prime volte rende tutti degli anonimi pensieri manifestati in silenzio. Sien, Margot Begemann e altre donne sono state passioni sì presenti in me, e la loro durata ha scavato ancor più di una lacuna nel mio cuore. Mia cugina Kate è stata viva nei miei affetti, ma alla sola mia proposta di sposarla, con la sua negazione, mi ha saccheggiato. Succube l'assenza e il dolore; le lacrime e il perdono. Ho nutrito amore e con amore ho perso me stesso; allegoria della sorte!”


Ascoltavo Vincent con una tale tristezza, che mai osai consigliarlo o contraddirlo. Continuò forse a parlare per ore, ma mai riuscii ad essere per lui un padre. Io non farò altro che nascondermi dietro le sue parole, e raccontarvele con la devozione di un fedele, di un ascoltatore che lo ha assistito in tutte le sue pazzie e le sue gioie mentre discuteva dei suoi colori.
“ Non c'è giorno che pensi alla notte” riprese indicando con le dita il campo di grano.
“ Non c'è notte che pensi al giorno. Sospiri, emozioni, essenze della mia assenza! Com'è bello perdersi e ritrovarsi uomo in una visione casuale! Ho sempre dipinto perché la gente mi capisse, oggi dipingo con egoismo, lo faccio per me, per la bramosia di saggiare la mia attinenza con il mio pensiero, paragonandolo agli atti dei giorni che scorrono. La follia del mio genio è nella semplicità; ed io con questo pensiero recente, maneggio tutte le balbuzie che inneggiano al peccato”.
Poi riprendendosi e rivolgendosi a me come se gli apparissi vivo solo in quel momento aggiunse:
“Joseph, talvolta qualsiasi peccato è lecito purché sia fatto con piacere! Io distinguo il piacere dal peccato solo quando sono felice, ed è rara la sensazione dei sorrisi sulle mie labbra! Solo rare e disfatte esibizioni rappresentano la mia vita; ma quando laggiù…! Guarda, Joseph…! Laggiù, quei corvi che volano liberamente sul campo… Sembrano voler fare colpo su di me!
Il quadro senza di loro sarebbe come un uomo che vive la propria esistenza in castità!
Guardali sul grano… Neanche il mio spirito è tanto leggero quanto il loro peso, mentre passeggiano sulle spighe di grano, scuotendole, e aleggiando i miei desideri più viscidi, in allettanti visioni... Forse la loro è una strategia o solo un semplice adattamento alla vita!
Guarda, neanche quel seminatore sembra accorgersene! Faranno parte di questo attimo come se fossero l’unica coppia di veri amanti presenti al mondo”.
Vincent mi guardò, e coprendosi con una mano gli occhi dalla luce del sole continuò:
“Loro renderanno il mio appetito più giallo del mio sole. Sì, questo è il mio dipingere, il mio sentirmi bambino e giocoso nel contemplare tali emozioni… Come se per la prima volta riaprissi gli occhi sentendomi uomo, riprovandone le gioie!
Ancora più grandi della variopinta passione di esistere solo per guardare loro, anime di un vecchio pascolo, di una visionaria ispirazione. Ah, Joseph,…come potrei mai spiegarti cos’è l’ispirazione!
Solo quando è in pace con se stesso, l’artista, esprime le sue opere migliori. Questa è l’ispirazione, il resto è confusione e dibattito!
Io vivo in essa un dramma, e per quanto siano rilevanti le mie menzogne, nascondo le mie intenzioni barattando il mio spirito con i colori, con nuove idee, con allucinazioni fatue, con imperfezioni della verità, che lo sguardo più di un istintivo momento di abbaglio non potrà vivere. Ecco, ho voglia di saziare lo spirito con delle imperfezioni; il grano sarà grano, se solo la fantasia lo renderà tale. Alla gente sembrerà solo erba secca; mai solo io saprò cosa significa e cosa nasconde quest’erba secca”.
Mi sorrise perché sapeva che anch’io sapevo il segreto di quel quadro e, con uno sguardo cattivo mi fece promettere in silenzio che io dovevo mantenere quel segreto. L’attesa del mio consenso fu immediata, ma in cuor mio sapevo che non ero in grado di portare quel fardello. Vincent rasserenato dalla mia promessa riprese a parlare.
“È la visione di purezza; la visione delle stagioni che si sono susseguite; la visione del mio bando abbandono, il mio essere unicamente compromesso da essa come se un'immagine… Cos’è un immagine Joseph, se non la gioia di ricordarsi come unici possessori di questa esperienza; se non la gioia di ricordare per ciò che si è realmente vissuto?”


Vincent aveva ragione, solo lui e io sapevamo cosa c’era dietro quell’erba secca. É stato un segreto a me piacevole e delirante allo stesso tempo. Come si possono cancellare dei versi così favorevoli al suo spirito, messi al caldo dietro calde lenzuola fatte di grano? Mi sento un traditore, ma non un peccatore; amo la vita e tutto quello che gli dona sensibilità.
Io, nonostante i miei desideri più ingannevoli, ho nutrito la mia quotidianità di speranza e d’affetto per la mia famiglia; il resto è a me incomprensibile come il talento di Vincent e l’innato dramma che lo molesta.
Il tradimento è un reato, e il mio reato sarà quello di dimostrare alla gente chi era Vincent.
I suoi versi, intitolati “Tramonto”, dicevano:


“ Riflessi di luce,
sospesi nel galleggiar dell’aria, s’infuocano.

Tramonto,
è la parola che svelo,
nascondendomi nella vita di un momento;
nella serenità di un fatuo abbaglio.“


Questa confessione sa di pazzia, ma ogni quadro nasconde un segreto, un'imperfezione tanto gradevole che è servita solo per richiamare un'ispirazione.
Ogni volta le sue parole mi confondevano e inorgoglivano, ero felice di conoscere un uomo che realmente aveva compreso chi essere nella vita.
Io ho sposato mia moglie perché lei mi ha amato per prima; faccio il mio lavoro perché so leggere e scrivere e perché mi è sembrata l’unica occasione meno impegnativa per avere un pasto caldo e un tetto per i miei figli. Lui ha una tale sofferenza spirituale, che se anche il buon Dio si rivoltasse contro il suo lavoro, si vendicherebbe con blasfemie errabonde, e rivoltandosi contro se stesso; come se il suo spirito odiasse il proprio corpo, deturpandolo e combattendolo fino alla fine.
Non ho mai capito come uomini di tale cultura, creatività, ingegno abbiano dato spazio a quello spirito ingannevole che è in loro nascosto, che dopo affrontate situazioni di disagio prevalga impossessandosi dell’effettiva ragione e sostituendola da una nascosta e fulminea, che deruba i giorni ai nostri affetti.
Continuai ad ascoltarlo fino a quando il tono della sua voce divenne arrogante. Capii che in me aveva trovato una persona con cui dividere i propri pensieri, stimolando così la sua creatività. Si, divenne arrogante perché le sue idee raggiunsero una tale ebbrezza, che solo con quel tono sarebbe riuscito a farmi allontanare.
Ho sempre apprezzato la sua gentilezza verso di me, era un uomo, ma con un grande dono.
Lo salutai, allontanandomi soltanto qualche metro, affinché non sentisse il mio peso su di lui. Gli serviva aria creativa, non presenze impazienti nel scoprire i suoi segreti.
Cominciò a disegnare i due corvi e, beffando il seminatore, li disegnò alcuni passi dietro le sue spalle. Aveva ragione: quei corvi, insieme al grano, alla maestosità del sole e del seminatore, hanno dato una nuova vita a quel dipinto.
Minuti dopo, proseguii dirigendomi a casa; lì mi sentivo un aspirante spione.

Mi ricordo quando andai a fargli visita nella sua stanza alla casa gialla e mi mostrò “La notte stellata”. Entrai come un amico, e mi ritrovai prigioniero del suo sguardo. Non parlava, ma io sapevo che voleva farlo: bastava una mia parola.
Lo salutai e mi rispose: “saluta la mia notte stellata, Joseph!”.
Lo guardai stupito, ma andava bene lo stesso; gli risposi: “buongiorno, notte!”.
Vincent mi guardò, e con una voce quasi gioiosa mi disse: “ Sì, hai proprio ragione! Buongiorno, notte! Non so se questa luna sia veramente luna, o un sole per confondermi. Ho immaginato un sole - luna. Due talenti per i nostri miseri occhi umani!
Due emozioni, due altri amanti per il mio quadro! La punta di questo cipresso sembra sfiorare il cielo, quasi con la voglia di toccarlo; o di toccare le stelle, armoniose e brillanti in questo firmamento, da sembrare diamanti che festeggiano un giorno di festa…O un lutto se ricordo mio padre!”.
Vincent, toccando il dipinto, mi mostrò una stella, quella più grande, quella più vicina all’affetto che provava per suo padre. “No, è una festa! Una gioia che rappresenta questa grande cittadina, sì dal cuore tenero, ma anche furfante, se viviamo la fame di alcuni. E le nuvole che non sembrano neanche tali… Si, sono turbolenze emesse dal mio stato d’animo nel momento della mia creazione; una visione, un riflesso così marcato, che i bagliori del sole - luna hanno rimosso dall’eccentrico, le mie sfumature arancio su di loro. Questa è una rarefatta versione del mio gesto d’affetto per la natura; e sono grato a Dio che ce la concede!”
Iniziò a passeggiare nella stanza fino a quando vide la finestra, e dirigendo la sua mano su essa esclamò:
“ Joseph, la natura è arte, e noi ci mostriamo artisti alle sue spalle! Questa è la vera ironia, il resto è pieno compatimento e falsa rateizzazione della vita! La assaporiamo a piccoli sorsi, come l’assenzio che ci deturpa lo spirito e la mente, ormai assuefatta dalle insoddisfazioni ci regala solo attimi brulicanti di soddisfazioni, recise da non so quale arma…Forse la peggiore: quella di sentirci realmente noi stessi! È nell’abbandono che ormai manifesto la mia ira…, e cerco così di essere più gioviale con la vita! Purtroppo questo non sono io…!”

Continuò così per tutti quegl’attimi, ora non posso fare altro che ricordarlo così: amico, confidente e sconosciuto.
Ho un debito nei suoi confronti, forse di riconoscenza; lo sento e sentirò sempre. Spero solo d’essere stato in grado d’assolverlo.



R.I.




06/05/06 0 commenti

La leggenda del giardino del poeta


Vincent Van Gogh - Coppia (il giardino del poeta) - Arles, ottobre 1888


Prefazione


"La leggenda del giardino del poeta, Anbramth e la presenza di Van Gogh in questo racconto sono totalmente inventate. "


Giunsero i primi del novecento; e Anbramth, s'era fatto uomo... Era cresciuto solo con l'affetto dei nonni paterni; i suoi genitori morirono due anni dopo la sua nascita, in un incidente. Anbramth era sempre pieno di curiosità, ma nonostante il suo carattere forte e la sua solarità viveva con il suo fardello: la mancanza dei genitori. Gli anni in lui erano sempre più densi di ribellione; la sua città natale era sempre più priva d'ogni suo interesse. Decise di partire. Con uno zaino sulle spalle e pochi soldi prese il suo cammino. Conobbe tanta gente; dormiva dove gli capitava e mangiava ciò che riusciva a guadagnarsi, a volte era costretto anche a rubare... ma un giorno raggiunse nella città d'Arles. Era la città che sognò qualche notte prima, e si sa, i sogni, per quanto sono furfanti, raccontano sempre delle verità. Si guardò intorno: tutto gli sembrava familiare. Le case, le carrozze che sfrecciavano per le vie, la gente e perfino un giardino che notò per caso, gli sembravano familiari. S'avvicinò, restando stregato. Anbramth, nonostante i colori appariscenti dei fiori, del verde lucido delle piante; notò un uomo che dipingeva. Aveva il volto sporco di verde, una barba rossastra e indossava gli stessi abiti che vestiva lui. "Anche questa persona è povera come me!" pensò tra sé Anbramth. Si avventurò verso di lui, incuriosito da quel cavalletto e dalla passione che quell'uomo proponeva sulla tela che aveva vicino a sé. Restò fermo dietro l'uomo che con gran magia, traeva una giovane coppia che si teneva mano nella mano. Quel quadro era il panorama, e l'affidabilità di quello che proponeva gli sembrava reale. "Come ti chiami ragazzo?" disse il pittore."Mi chiamo Anbramth!" rispose il ragazzo. "Io mi chiamo Vincent...! Guarda...! Ora quel ragazzo sta dichiarando il proprio amore per lei...!" aggiunse Vincent. Anbramth non riusciva a capire, ma continuò a guardarli attentamente. "Ti racconterò la leggenda di questo giardino!" continuò Vincent.

"Si racconta che una giovane donna, mentre passeggiava con il proprio uomo in questo viale, si fermò, e attese che lui si dichiarasse. Cupido, trovandosi nei paraggi, cercò di donare le giuste parole all'uomo; ma s'accorse di avere terminato le proprie frecce. Aveva fallito nel suo intento; ma Zeus, non potette trascurare questa mancanza. Scagliò un fulmine e trafisse l'uomo, mentre Cupido era angustiato dai sensi di colpa. La donna, impaurita, cadde sulla siepe, e tremante accennò un urlo. Zeus trasformò quella donna in un albero; maledicendolo. Dall'alto di una nuvola chiamò Cupido e gli disse: " È stata colpa della donna, doveva incoraggiarlo! Tu sei un dio? "Cupido lo guardò e balbettò una frase: "È colpa...mia...!" ma invano; Zeus era troppo furioso." D'ora in poi le tue frecce saranno forgiate dai rami di quest'albero!" continuò Zeus. " Tu sarai bandito da questo giardino...! Ogni qualvolta una giovane coppia, camminerà in questo viale, prima ancora del loro primo bacio e prima ancora d'aver attraversato questo albero, l'uomo non si sarà dichiarato..., tenendola mano nella mano e guardandola negli occhi, io presenterò ancora la mia inquietudine! Zeus svanì dietro una gran fumata rossa, e lasciò l'ingrato compito di costruire nuove frecce a Cupido, da quell'albero".Anbramth restò ammaliato; le parole di Vincent erano dolci e pieno di quell'affetto che gli era sempre mancato. Si alzò e con passi lenti si allontanò. Oggi, a distanza d'anni, con il cuore pieno d'amore e ricordando la leggenda del giardino del poeta, prese per mano Matilda e mano nella mano, guardandosi negli occhi si dichiarò a lei. Matilda era una ragazza semplice, e nella sua semplicità non riusciva a capire perchè Anbramth, aspettò un anno per dichiararsi; e proprio in quel giardino.Anbramth fermò Matilda un paio di passi dall'albero; proprio dove conobbe quel pittore, e gli disse: "Matilda, questo giardino nella sua intimità e magia è pieno di stravaganti sorprese...! Ho atteso un anno perchè volevo dichiarare il mio amore in questo giardino, in ricordo di mio padre! "Dagli occhi d'Anbramth cominciarono a scivolare giù delle lacrime, sembrò intristirsi; ma lei gli diede il suo fazzoletto. "Tuo padre...!" replicò Matilda. "Sì, quel pittore che conobbi anni fa, qui proprio dove noi siamo fermi era Vincent Van Gogh...! Lui fu così dolce con me; mai un'altra persona lo aveva mai fatto in quel periodo...! Da lontano lo chiamai papà; e solo poco tempo dopo seppi chi era quell'uomo! "Matilda ebbe un brivido alla schiena e abbracciò Anbramth.

03/05/06 4 commenti

Lettera del passato

Parigi, 07 agosto 1906

Ninsia, mio amore,
ogni volta le mie lettere sono senza nome, ma Tu sai sempre chi sono.
È il metodo più stupido per lasciarmi immaginare. L'amore non ha bisogno di nomi, e il mio diventerebbe superfluo se io Te lo ricordassi. Lascio voce eclatante al Tuo ricordo, in un forziere lucente di tenere parole...
Ah, l'attesa!
I giorni si dissolvono ed io bramo lucentezza dal Tuo sguardo...
Solo tra qualche settimana sarò da Te, e le emozioni, sciolte al vento, vibrano come rose in attesa di essere odorate e sfiorate con gentilezza.
Oggi lavoro come sempre, il mio è un vizio che non riesce a distogliere la Tua mancanza. Ti amo, e l'amore per me è un dono, un volto da ritrarre, una castità alle mie peggiori intenzioni. Amo tutto ciò che mi circonda, e Tu, folle ebbrezza di distanza mi assorbi anche nella Tua assenza, mostrando in me un velo inquieto di malinconia.
Ti amo! Ti amo! Ti amo!
Ti amo mille volte ancora di quelle che posso scrivere e non è mai abbastanza; la solitudine di Te mi rende un orfano... mai ho compreso me in Tua assenza! Non esiste ritratto che possa dipingere che eguagli la tua bellezza, talvolta, non esigo perfezione dai miei quadri, solo perchè non vivo Te, il Tuo consiglio esigente e la Tua formula eccentrica nella critica. Mi chiedo:
" Può, la mia inconscia veduta della moralità, aleggiando in similitudini, dimostrarsi indecente nelle mie opere?
Può, il mio stanco pensiero, dirigersi in un'alcova, mentre dipingo il mio ricordo di Te?
Perchè mutare le mie tentazioni in parole, quando i colori, corrotti dalla mia audacia ne dimostrano lo stesso valore?"
Scusami, talvolta mi fregio della fragilità più emotiva, che, a maldicenza della gente è mostrata come blasfemia. Io dalla mia ho la creatività e il mio amore per Te, e non possiederò altro affinché la vita mi negherà altro.
Ti amo Ninsia.

 
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