07/05/06

Nella mente di "Vincent van Gogh"


Questo racconto, che ripercorre alcuni periodi della vita di Van Gogh è totalmente inventato, fuorché le date, la testata del giornale, i nomi dei personaggi e dei suoi dipinti.

"La notte stellata" Saint-Rémy, giugno 1889

"Il seminatore ( secondo Millet)" Arles, giugno 1888




23° ANNÉE N°5 CINQ CENTESIMES LE NUMÉRO 31 JANVIER 1891 __________________________________________

LE
FORUM RÉPUBLICAIN

JOURNAL DE L'ARRONDISSEMENT D'ARLES
Paraissaint tous les Dimanches

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Alcuni giorni fa, il 25 gennaio 1891, un altro lutto ha colpito la famiglia Van Gogh.
Theodorus, fratello minore del pittore Vincent Van Gogh, è morto a Utrecht, lasciando in lacrime sua moglie Johanna Bogner e suo figlio Vincent.
Theo è stato un grande amico anche per me.
Non so se questo mio articolo possa, tra le tante sventure, consolare il mio dolore e adorare un uomo che ha creduto nell’arte, e che per l’arte ha dimorato in un piacere ossessivo: quello di suo fratello.
Vincent ha impreziosito il suo tempo oziando ed impreziosendo le immagini, con un anima propria, con un esplosione di colori che nascondeva tutto, tranne la verità.

Non capisco come la morte, ogni volta, ci lasci così impotenti!
Si può giustificare un gio
rno diverso da un altro? Siamo figli di qualcosa?
Spesso mi domando come la morte si presenti a noi così insensibile, inosservata.
Vi assicuro che la morte esiste e si presenta sempre in modo inaspettato!
Questo è un giorno di lutto. Per ricordarlo ho voglia, con il consenso dei cittadini di Arles, di pubblicare un racconto scritto da Joseph Roulin, impiegato delle poste, oggi trasferitosi a Marsiglia. L'ho ricevuto oggi stesso, e con affetto lo propongo a voi.
Questo racconto ripercorre alcune ore del sig. Roulin trascorse in compagnia di Vincent Van Gogh, quando in piena creatività emotiva, dipinse “ Il seminatore” nel giugno 1888, e quando Joseph andò a trovarlo nella sua casetta gialla, mostrando
gli la “Notte stellata”, dipinta nel giugno 1889.

Perché la morte si propone così istintivamente, lasciandoci impietositi e vagabondi nelle nostre idee sporche come il catrame? Perché la morte?
Quale senso ha abbinare la propria esistenza a qualcosa di grande per poi lasciarcela rubare da un attimo senza senso? Perché?

R.I.

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Marsiglia 25 Gennaio 1891
In ricordo del mio caro amico Vincent Van Gogh.
Joseph Roulin


“Non capisco come il buon Dio abbia dato forza a quella mano, privandoci di quel talento ignoto.
Quella mano che esibiva come egli vedeva e voleva vedere il mondo! Quella mano, dotata di una tale violenza nel confondere l’animo della gente, che, straziandola, nutriva il loro scetticismo con spasimanti emozioni!
Quella mano animata che ci ha donato un'altra delle sue opere: l’immortalità di un uomo che è riuscito a diventare, nonostante la sua rabbia, la visione di se stesso.
Semplice, intelligente, onesto, malinconico e folle con il suo istinto creativo che gli mormorava la necessità di essere compreso, dimostrando tutto ciò che lo rendeva felice, accomodando le sue ragioni in un’estrema galanteria, resa invisibile dalle sue turbolenze.
Una mano, una pistola, un colpo e due giorni d’agonia.
Può terminare così la vita di un uomo, che dinanzi a Dio, ha maneggiato tutte le astuzie che erano in proprio possesso?
Come possiamo, noi lugubri pezzi di carne, saziare la Vostra ira?
Esiste la remota opinione, che io, umile postino viva più a lungo di quanto ho vissuto? Sì, vero!
Ho consegnato lettere per tutta la vita senza mai sbagliarne recapito: che cosa lascerò io al mondo?
Certo, il ricordo di avere abbandonato all’ingiustizia di una sorte infame, l’appello di riconoscenza che chiedeva un Vostro servo! Il mio grande amico!
Non mi appello alla sua arte, ma Vincent, trasformando i colori in una gloria celestiale, ha fatto della vita altrui un emozionante visione da guardare, rendendo degna devozione a Voi, vivace nell’assenteismo...!
Dio, scusate le mie frasi, sto peccando ingiustamente con parole odiose e piene di dolore…! Scusate ancora!
Forse è giusto così, e il mio pensiero è solo un anonimo spauracchio che mi rimbalza contro.
Vincent ha sofferto infinitamente e delle sue pene ne conosco la ragione!
È giusto così, lui non avrebbe sopportato mai il peso della mia attuale età accomodata nel suo corpo! Scusatemi ancora!”


Questo mi passò di mente quando seppi della sua morte. Sentii queste parole talmente vive in me, tanto che riesco a ripeterne il loro peso solo adesso. Alla mia età tutto può sembrare facile, forse mi sarà concessa ancora qualche ora, forse no.
Scrivo questa storia affinché tutti sappiano come ho vissuto la sua vita da amico; soprattutto oggi che la gente è amareggiata della morte di suo fratello Theo.
Vincent, lo ricordo mentre mangiava le zuppe preparate da mia moglie, quando ritrasse mio figlio Armand e quando s'impossessò della dolcezza di mia figlia Marcelle, adagiandola tra le braccia della madre in un altro dipinto.
Mia moglie è ancora scossa, le donne sono molto sensibili, e in questi momenti dimostrano a pieno se stesse.
È madre e figlia anche lei, come potrebbe non soffrirne?
Talvolta piange e io non ho parole per confortarla, mi sento un miserabile; ma soffro anch’io.
Tuttora di mio ho solo il pensiero, ma, quando mi lascio andare dal dondolio della mia sedia ricordo le sue parole e il fascino del suo sguardo quando parlava dei suoi colori.
Lo conobbi in un bistrot, quasi per caso; cominciammo a parlare e diventammo subito amici. Non era un caso, forse qualcuno lassù ha un'accentuata ironia nel fare incontrare la gente. Lo lasciai cercando di capire quello sguardo così solitario.
Ritornai in quel bistrot i giorni successivi senza mai rincontrarlo.
"É un pazzo Van Gogh," mi ripeteva continuamente il proprietario del locale.
"Non capisco perchè questa gente crede che l'arte sia così importante! Si dovrebbe lavorare, non impazzire con quei pennelli!" continuava poi.
Io sapevo sempre dove trovarlo; ogni volta in un campo diverso, ogni volta una nuova lettera da consegnare.
Un giorno, non appena terminato il mio turno, mi fermai a guardarlo con più interesse. Era davanti al suo cavalletto e disegnava qualcosa. Non sapevo cosa significasse essere un pittore, ma lui lo faceva con passione, ed io non potevo fare altro che ammirarlo. Mi avvicinai e gli dissi: " Il Signor Van Gogh, vero?”
Vincent non mi sentì, era così preso dal suo lavoro che neanche il vento lo avrebbe disturbato; anche perchè vinto dall’ebbrezza: così giustificava il suo spirito quando era ghermito dagli zuccheri della ‘fata verde’.
"Adesso fa anche il pittore lei!" gli dissi per stuzzicarlo. Allora mi guardò e capì subito che scherzavo: era l'unico modo per avere la sua attenzione. Era il giugno del 1888, ad Arles, mentre dipingeva uno dei suoi famosi quadri: ‘Il seminatore’.
Aveva tutto il volto macchiato di giallo.
"Mi sono lasciato per ultimo questa lettera indirizzata a te. Volevo in qualche modo disturbarti!" gli dissi.
L'aprì, la lesse avidamente e mi sorrise.
"Joseph, mi consegni sempre delle buone notizie! Mi scrive mio fratello Theo; noi siamo figli opposti della stessa medaglia ma dal medesimo valore!" disse Vincent paragonando Theo alla sua stessa arte e al lavoro che svolgeva per lui...
“A volte le nostre strade si dividono, ma è solo colpa mia. Sono testardo, e ancora di più credo nella mia arte che ogni istante mi allontana, senza alcun diritto, dai miei affetti e da lui che da sempre confida in me.
Mi manda del denaro, privandosene, perché sa che la mia emotività è più celere e che non sono in grado di provvedere a me stesso. Alla mia età…! É buffo, no?”
“Nella mia vita potevo essere un buon padre, un estimatore d’arte e marito integerrimo; ma il senso ingiustificato della mia giovinezza n’è stato da meno. Ursula…! Quando ripenso al passato, risento il profumo della sua pelle, lo sento adesso che parlo con te Joseph; lo sento ogni volta che penso alla mia vita e al desiderio di barattare questa mia arte con una vita più genuina…!”
Vincent all’improvviso s’azzittì e il suo sguardo divenne vuoto, abbandonato ai suoi ricordi. Tutto intorno a me sembrò appesantirsi, come anche la lettera di Theo che era in mano di Vincent. Scivolò dalle sue mani facendo un grande boato, come se di colpo fosse cascato un intero edificio: questa è la sensazione che provai.
Non compresi mai quell’attimo; i giochi della mente sono inconsapevoli e lui lo era ancor più.
Si piegò, raccolse la lettera e come niente fosse riprese a parlarmi con voce rasserenata.
“La vidi e mi addormentai nei suoi occhi, dolce, sensibile, folle brama dei miei sogni. Il suo rifiuto è risultato, come per la morte della coscienza, la follia del mio futuro; questa è l’espiazione dei miei giorni, la scelta consistente per il mio lavoro.
Questo dolore ha permesso alla mia vita di ammalarmi, e di rendere incapace il mio spirito ad amare con quel desiderio, che le prime volte rende tutti degli anonimi pensieri manifestati in silenzio. Sien, Margot Begemann e altre donne sono state passioni sì presenti in me, e la loro durata ha scavato ancor più di una lacuna nel mio cuore. Mia cugina Kate è stata viva nei miei affetti, ma alla sola mia proposta di sposarla, con la sua negazione, mi ha saccheggiato. Succube l'assenza e il dolore; le lacrime e il perdono. Ho nutrito amore e con amore ho perso me stesso; allegoria della sorte!”


Ascoltavo Vincent con una tale tristezza, che mai osai consigliarlo o contraddirlo. Continuò forse a parlare per ore, ma mai riuscii ad essere per lui un padre. Io non farò altro che nascondermi dietro le sue parole, e raccontarvele con la devozione di un fedele, di un ascoltatore che lo ha assistito in tutte le sue pazzie e le sue gioie mentre discuteva dei suoi colori.
“ Non c'è giorno che pensi alla notte” riprese indicando con le dita il campo di grano.
“ Non c'è notte che pensi al giorno. Sospiri, emozioni, essenze della mia assenza! Com'è bello perdersi e ritrovarsi uomo in una visione casuale! Ho sempre dipinto perché la gente mi capisse, oggi dipingo con egoismo, lo faccio per me, per la bramosia di saggiare la mia attinenza con il mio pensiero, paragonandolo agli atti dei giorni che scorrono. La follia del mio genio è nella semplicità; ed io con questo pensiero recente, maneggio tutte le balbuzie che inneggiano al peccato”.
Poi riprendendosi e rivolgendosi a me come se gli apparissi vivo solo in quel momento aggiunse:
“Joseph, talvolta qualsiasi peccato è lecito purché sia fatto con piacere! Io distinguo il piacere dal peccato solo quando sono felice, ed è rara la sensazione dei sorrisi sulle mie labbra! Solo rare e disfatte esibizioni rappresentano la mia vita; ma quando laggiù…! Guarda, Joseph…! Laggiù, quei corvi che volano liberamente sul campo… Sembrano voler fare colpo su di me!
Il quadro senza di loro sarebbe come un uomo che vive la propria esistenza in castità!
Guardali sul grano… Neanche il mio spirito è tanto leggero quanto il loro peso, mentre passeggiano sulle spighe di grano, scuotendole, e aleggiando i miei desideri più viscidi, in allettanti visioni... Forse la loro è una strategia o solo un semplice adattamento alla vita!
Guarda, neanche quel seminatore sembra accorgersene! Faranno parte di questo attimo come se fossero l’unica coppia di veri amanti presenti al mondo”.
Vincent mi guardò, e coprendosi con una mano gli occhi dalla luce del sole continuò:
“Loro renderanno il mio appetito più giallo del mio sole. Sì, questo è il mio dipingere, il mio sentirmi bambino e giocoso nel contemplare tali emozioni… Come se per la prima volta riaprissi gli occhi sentendomi uomo, riprovandone le gioie!
Ancora più grandi della variopinta passione di esistere solo per guardare loro, anime di un vecchio pascolo, di una visionaria ispirazione. Ah, Joseph,…come potrei mai spiegarti cos’è l’ispirazione!
Solo quando è in pace con se stesso, l’artista, esprime le sue opere migliori. Questa è l’ispirazione, il resto è confusione e dibattito!
Io vivo in essa un dramma, e per quanto siano rilevanti le mie menzogne, nascondo le mie intenzioni barattando il mio spirito con i colori, con nuove idee, con allucinazioni fatue, con imperfezioni della verità, che lo sguardo più di un istintivo momento di abbaglio non potrà vivere. Ecco, ho voglia di saziare lo spirito con delle imperfezioni; il grano sarà grano, se solo la fantasia lo renderà tale. Alla gente sembrerà solo erba secca; mai solo io saprò cosa significa e cosa nasconde quest’erba secca”.
Mi sorrise perché sapeva che anch’io sapevo il segreto di quel quadro e, con uno sguardo cattivo mi fece promettere in silenzio che io dovevo mantenere quel segreto. L’attesa del mio consenso fu immediata, ma in cuor mio sapevo che non ero in grado di portare quel fardello. Vincent rasserenato dalla mia promessa riprese a parlare.
“È la visione di purezza; la visione delle stagioni che si sono susseguite; la visione del mio bando abbandono, il mio essere unicamente compromesso da essa come se un'immagine… Cos’è un immagine Joseph, se non la gioia di ricordarsi come unici possessori di questa esperienza; se non la gioia di ricordare per ciò che si è realmente vissuto?”


Vincent aveva ragione, solo lui e io sapevamo cosa c’era dietro quell’erba secca. É stato un segreto a me piacevole e delirante allo stesso tempo. Come si possono cancellare dei versi così favorevoli al suo spirito, messi al caldo dietro calde lenzuola fatte di grano? Mi sento un traditore, ma non un peccatore; amo la vita e tutto quello che gli dona sensibilità.
Io, nonostante i miei desideri più ingannevoli, ho nutrito la mia quotidianità di speranza e d’affetto per la mia famiglia; il resto è a me incomprensibile come il talento di Vincent e l’innato dramma che lo molesta.
Il tradimento è un reato, e il mio reato sarà quello di dimostrare alla gente chi era Vincent.
I suoi versi, intitolati “Tramonto”, dicevano:


“ Riflessi di luce,
sospesi nel galleggiar dell’aria, s’infuocano.

Tramonto,
è la parola che svelo,
nascondendomi nella vita di un momento;
nella serenità di un fatuo abbaglio.“


Questa confessione sa di pazzia, ma ogni quadro nasconde un segreto, un'imperfezione tanto gradevole che è servita solo per richiamare un'ispirazione.
Ogni volta le sue parole mi confondevano e inorgoglivano, ero felice di conoscere un uomo che realmente aveva compreso chi essere nella vita.
Io ho sposato mia moglie perché lei mi ha amato per prima; faccio il mio lavoro perché so leggere e scrivere e perché mi è sembrata l’unica occasione meno impegnativa per avere un pasto caldo e un tetto per i miei figli. Lui ha una tale sofferenza spirituale, che se anche il buon Dio si rivoltasse contro il suo lavoro, si vendicherebbe con blasfemie errabonde, e rivoltandosi contro se stesso; come se il suo spirito odiasse il proprio corpo, deturpandolo e combattendolo fino alla fine.
Non ho mai capito come uomini di tale cultura, creatività, ingegno abbiano dato spazio a quello spirito ingannevole che è in loro nascosto, che dopo affrontate situazioni di disagio prevalga impossessandosi dell’effettiva ragione e sostituendola da una nascosta e fulminea, che deruba i giorni ai nostri affetti.
Continuai ad ascoltarlo fino a quando il tono della sua voce divenne arrogante. Capii che in me aveva trovato una persona con cui dividere i propri pensieri, stimolando così la sua creatività. Si, divenne arrogante perché le sue idee raggiunsero una tale ebbrezza, che solo con quel tono sarebbe riuscito a farmi allontanare.
Ho sempre apprezzato la sua gentilezza verso di me, era un uomo, ma con un grande dono.
Lo salutai, allontanandomi soltanto qualche metro, affinché non sentisse il mio peso su di lui. Gli serviva aria creativa, non presenze impazienti nel scoprire i suoi segreti.
Cominciò a disegnare i due corvi e, beffando il seminatore, li disegnò alcuni passi dietro le sue spalle. Aveva ragione: quei corvi, insieme al grano, alla maestosità del sole e del seminatore, hanno dato una nuova vita a quel dipinto.
Minuti dopo, proseguii dirigendomi a casa; lì mi sentivo un aspirante spione.

Mi ricordo quando andai a fargli visita nella sua stanza alla casa gialla e mi mostrò “La notte stellata”. Entrai come un amico, e mi ritrovai prigioniero del suo sguardo. Non parlava, ma io sapevo che voleva farlo: bastava una mia parola.
Lo salutai e mi rispose: “saluta la mia notte stellata, Joseph!”.
Lo guardai stupito, ma andava bene lo stesso; gli risposi: “buongiorno, notte!”.
Vincent mi guardò, e con una voce quasi gioiosa mi disse: “ Sì, hai proprio ragione! Buongiorno, notte! Non so se questa luna sia veramente luna, o un sole per confondermi. Ho immaginato un sole - luna. Due talenti per i nostri miseri occhi umani!
Due emozioni, due altri amanti per il mio quadro! La punta di questo cipresso sembra sfiorare il cielo, quasi con la voglia di toccarlo; o di toccare le stelle, armoniose e brillanti in questo firmamento, da sembrare diamanti che festeggiano un giorno di festa…O un lutto se ricordo mio padre!”.
Vincent, toccando il dipinto, mi mostrò una stella, quella più grande, quella più vicina all’affetto che provava per suo padre. “No, è una festa! Una gioia che rappresenta questa grande cittadina, sì dal cuore tenero, ma anche furfante, se viviamo la fame di alcuni. E le nuvole che non sembrano neanche tali… Si, sono turbolenze emesse dal mio stato d’animo nel momento della mia creazione; una visione, un riflesso così marcato, che i bagliori del sole - luna hanno rimosso dall’eccentrico, le mie sfumature arancio su di loro. Questa è una rarefatta versione del mio gesto d’affetto per la natura; e sono grato a Dio che ce la concede!”
Iniziò a passeggiare nella stanza fino a quando vide la finestra, e dirigendo la sua mano su essa esclamò:
“ Joseph, la natura è arte, e noi ci mostriamo artisti alle sue spalle! Questa è la vera ironia, il resto è pieno compatimento e falsa rateizzazione della vita! La assaporiamo a piccoli sorsi, come l’assenzio che ci deturpa lo spirito e la mente, ormai assuefatta dalle insoddisfazioni ci regala solo attimi brulicanti di soddisfazioni, recise da non so quale arma…Forse la peggiore: quella di sentirci realmente noi stessi! È nell’abbandono che ormai manifesto la mia ira…, e cerco così di essere più gioviale con la vita! Purtroppo questo non sono io…!”

Continuò così per tutti quegl’attimi, ora non posso fare altro che ricordarlo così: amico, confidente e sconosciuto.
Ho un debito nei suoi confronti, forse di riconoscenza; lo sento e sentirò sempre. Spero solo d’essere stato in grado d’assolverlo.



R.I.




2 commenti:

Anonimo ha detto...

Super color scheme, I like it! Keep up the good work. Thanks for sharing this wonderful site with us.
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Anonimo ha detto...

complimenti...è un lavoro perfetto!la musica le parole...sono rimasta senza parole...complimenti davvero..

 
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